Nel 2009 ho proposto il concetto di “malattie dell’educazione” per denotare gli stati infantili e preadolescenziali di disagio e seria difficoltà che sono da riportare a deficit educativi dei genitori.
Con “malattie dell’educazione” intendo allora tutte quelle forme patologiche evidenti nel comportamento infantile, sia di carattere fisico che mentale, le cui cause si collocano in ambito educativo.
Quali sono le malattie dell’educazione?
Mancanza di regole educative chiare, discrepanza sostanziale fra padre e madre nell’educazione dei figli, mancato sviluppo delle autonomie all’età prevista, sedentarietà indotta, mantenimento di fusionalità simbiotiche con la madre o con entrambi i genitori, sono fra le situazioni più diffuse e in aumento.
A queste vanno aggiunte le problematiche di blocco educativo legate a vicende particolari durante il parto o i primi anni di vita, che hanno attivato una specifica apprensione per la sopravvivenza del figlio.
Non vanno infine dimenticate le problematiche educative legate alla carenza di sonno (da ultimo la tendenza alla scomparsa del pisolino nei bambini di tre anni) e quelle relative ai disordini alimentari (in primis la diffusa difficoltà nell’assunzione della colazione al mattino).
La vera emergenza è la disattenzione crescente nei confronti dell’educazione quasi che i bambini e i ragazzi potessero farcela da soli senza un “cantiere” ben organizzato da genitori, insegnanti e adulti.
È una disattenzione grave che può creare patologie.
Basti pensare agli scompensi generati da quei genitori che impostano la gestione dei figli unicamente nella logica della disponibilità, della spiegazione, della piacevolezza, del gradimento, a prescindere dalla necessità che l’adulto faccia l’adulto, che il bambino faccia il bambino, che i genitori facciano i genitori e gli adolescenti facciano gli adolescenti senza derive amicali o promiscue di varia natura.
Finisce così che i figli non ascoltano i genitori, ma in realtà bisognerebbe dire con ben più motivazione che i figli non sanno chi ascoltare.
La divergenza in ordine all’educazione dei figli fra i padri e le madri sta diventando la norma e non più l’eccezione. E non sto parlando delle coppie separate, ma di coppie che decidono di procreare ma ognuno con le proprie motivazioni e che si ritrovano a portare avanti non un progetto comune ma un progetto individuale.
In questo modo i figli entrano in un corto circuito estremamente angosciante che li può portare a deprivazioni emotive a partire già dai due, tre, quattro anni.
Il caso per esempio dell’uso dei tablet: un genitore vorrebbe limitarne utilizzo e l’altro insistentemente dice al contrario.
Si scopre poi che l’utilizzo precoce dei dispositivi digitali nei primissimi anni crea ritardi addirittura nel linguaggio. Così come l’uso precoce della tastiera nella scrittura crea ritardi significativi in ordine all’apprendimento della scrittura stessa. Si spingono i bambini a saltare le tappe o diventare al più presto in grado di interagire con gli adulti come se fossero loro stessi adulti.
Si sono create nelle famiglie delle complicazioni enormi. Per esempio la riduzione del gioco e del movimento. Il bambino, visto sempre più come un piccolo adulto, non deve muoversi, non deve giocare, deve essere sempre ben concentrato. Si impediscono gli scarichi emotivi dell’attività ludica, specialmente in una logica sociale che è fatta di scontri, litigi, divergenze, avvinghiamenti fisici e quant’altro.
Anche alcune scuole purtroppo si sono accanite contro il movimento e il gioco infantile. Drammatico che alcune abbiano addirittura imposto l’intervallo fra i banchi proibendo l’attività motoria.
Ma anche la Natura è ormai lontana, preclusa a un contatto diretto. Non sto parlando del grande bosco o del grande parco naturale, sto parlando della pioggia, della terra, dei sassi, del potersi arrampicare, del poter costruire qualcosa con le proprie mani. Sto parlando di aria, acqua, fuoco, terra, degli elementi sensoriali primari che permettono al bambino di riconnettersi profondamente alle proprie sensazioni.
Messe assieme le difficoltà dei genitori di interpretarsi in senso educativo e l’alienazione infantile nei confronti del gioco, della motricità e della natura, si capisce come le difficoltà emotive dei nuovi “cuccioli” non appartengono certo a problemi neurologici, ma prevalentemente a situazioni ambientali dove l’innaturalità della vita impedisce anche il recupero di eventuali ritardi fisiologici.
Articolo di Daniele Novara estratto dalla rivista Conflitti, numero 2/2017