Le malattie dell’educazione

Escludere un programma educativo dal recupero dei bambini con disturbi importanti appare non solo un azzardo ma un ulteriore danno al bambino stesso
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Bambini che giocano sotto la pioggia. L'immagine è usata per l'articolo "Le malattie dell'educazione" di Daniele Novara

Nel 2009 ho proposto il concetto di “malattie dell’educazione” per denotare gli stati infantili e preadolescenziali di disagio e seria difficoltà che sono da riportare a deficit educativi dei geni­tori.

Con malattie dell’educazione inten­do allora tutte quelle forme patologiche evidenti nel comportamento infantile, sia di carattere fisico che mentale, le cui cause si collocano in ambito educati­vo.

Quali sono le malattie dell’educazione?

Mancanza di regole educative chia­re, discrepanza sostanziale fra padre e madre nell’educazione dei figli, manca­to sviluppo delle autonomie all’età pre­vista, sedentarietà indotta, manteni­mento di fusionalità simbiotiche con la madre o con entrambi i genitori, sono fra le situazioni più diffuse e in aumen­to.

A queste vanno aggiunte le proble­matiche di blocco educativo legate a vi­cende particolari durante il parto o i pri­mi anni di vita, che hanno attivato una specifica apprensione per la sopravvi­venza del figlio.
Non vanno infine dimenticate le proble­matiche educative legate alla carenza di sonno (da ultimo la tendenza alla scom­parsa del pisolino nei bambini di 3 anni) e quelle relative ai disordini alimentari (in primis la diffusa difficoltà nell’assun­zione della colazione al mattino). 


Questo argomento verrà approfondito nel corso online con Daniele Novara e Marta VersigliaCurare con l’educazione“, da giovedì 13 aprile.

Le malattie dell'educazione

La vera emergenza è la disattenzione crescente nei confronti dell’educazione quasi che i bambini e i ragazzi potessero farcela da soli senza un “cantiere” ben or­ganizzato da genitori, insegnanti e adulti.

È una disattenzione grave che può crea­re patologie.

Basti pensare agli scom­pensi generati da quei genitori che im­postano la gestione dei figli unicamente nella logica della disponibilità, della spie­gazione, della piacevolez­za, del gradimento, a prescindere dalla necessità che l’adulto faccia l’adulto, che il bambino faccia il bambino, che i geni­tori facciano i genitori e gli adolescenti facciano gli adolescenti senza derive amicali o promiscue di varia natura.

Finisce così che i figli non ascoltano i ge­nitori, ma in realtà bisognerebbe dire con ben più motivazione che i figli non sanno chi ascoltare.

La divergenza in or­dine all’educazione dei figli fra i padri e le madri sta diventando la norma e non più l’eccezione. E non sto parlando delle coppie separate, ma di coppie che de­cidono di procreare ma ognuno con le proprie motivazioni e che si ritrovano a portare avanti non un progetto comune ma un progetto individuale.

In questo modo i figli entrano in un corto circuito estremamente angosciante che li può portare a deprivazioni emotive a partire già dai 2, dai 3, dai 4 anni.
Il caso per esempio dell’uso dei tablet: un genitore vorrebbe limitarne utilizzo e l’altro insi­stentemente dice al contrario.

Si scopre poi che l’utilizzo precoce dei dispositivi digitali nei primissimi anni crea ritardi addirittura nel linguaggio. Così come l’uso precoce della tastiera nella scrittu­ra crea ritardi significativi in ordine al­l’apprendimento della scrittura stessa. Si spingono i bambini a saltare le tappe o diventare al più presto in grado di in­teragire con gli adulti come se fossero loro stessi adulti. 

Si sono create nelle famiglie delle com­plicazioni enormi. Per esempio la ridu­zione del gioco e del movimento. Il bambino, visto sempre più come un pic­colo adulto, non deve muoversi, non deve giocare, deve essere sempre ben concentrato. Si impediscono gli scarichi emotivi dell’attività ludica, specialmente in una logica sociale che è fatta di scon­tri, di litigi, divergenze, avvinghiamenti fisici e quant’altro. 

Anche alcune scuole purtroppo si sono acca­nite contro il movimento e il gioco in­fantile. Drammatico che alcune abbiano addirittura imposto l’intervallo fra i ban­chi proibendo l’attività motoria. 

Ma anche la Natura è ormai lontana, preclusa a un contatto diretto. Non sto parlando del grande bosco o del grande parco naturale, sto parlando della piog­gia, della terra, dei sassi, del potersi ar­rampicare, del poter costruire qualcosa con le proprie mani. Sto parlando di aria, acqua, fuoco, terra, degli elementi sensoriali primari che permettono al bambino di riconnettersi profondamen­te alle proprie sensazioni. 

Messe assieme le difficoltà dei genitori di interpretarsi in senso educativo e l’alienazione infantile nei confronti del gioco, della motricità e della natura, si capisce come le difficoltà emotive dei nuovi “cuccioli” non appartengono certo a problemi neurologici ma prevalente­mente a situazioni ambientali dove l’in­naturalità della vita impedisce anche il recupero di eventuali ritardi fisiologici. 


Articolo di Daniele Novara estratto dalla rivista Conflitti, numero 2 – 2017

Bambini che giocano sotto la pioggia. L'immagine è usata per l'articolo "Le malattie dell'educazione" di Daniele Novara

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