Sono passati quarant’anni dalla scomparsa del piacentino Franco Fornari, uno dei più grandi intellettuali del dopoguerra italiano. Come dice Silvia Vegetti Finzi, con la sua importante Storia della psicoanalisi, un testo imprescindibile per ogni studioso, Fornari è lo psicoanalista che ha impresso maggiormente la sua immagine sulla cultura italiana degli ultimi decenni.
- Gli esordi
- Psicoanalisi della guerra
- Guerra come elaborazione paranoica del lutto
- L’incoerenza della guerra
- Il rapporto con il CPP
- Oltre la guerra
Gli esordi
Piacenza può vantarsi di aver dato i natali, nel lontano 1921, a una figura straordinariamente creativa nell’ambito della ricerca scientifica aperta da Sigmund Freud alla fine dell’Ottocento sull’inconscio, sulle sue conseguenze per la vita individuale e sociale.
Franco Fornari Esordisce con la Vita affettiva originaria del bambino nel ’63, ispirato alle teorie della psicoanalista inglese Melanie Klein. Ben presto il suo contributo si caratterizza per un tentativo dichiarato e perseguito con molta determinazione di far uscire la psicoanalisi dalle ristrettezze del setting puramente individuale dalle contrazioni della terapia chiusa nello studio del medico per portare questa scienza come strumento di analisi e di interpretazione dei processi e delle istituzioni sociali.
Una novità assoluta che ottiene esiti davvero importanti.
Psicoanalisi della guerra
Nel 1964, il suo tentativo è talmente eccezionale da conferirgli un successo e una fama internazionali. In occasione di un importante convegno scientifico in Francia, Franco Fornari presenta una ricerca su quella che lui chiama psicoanalisi della guerra. Ossia l’analisi di questo drammatico fenomeno, che da sempre attraversa la storia umana, da un punto di vista strettamente psicoanalitico.
Siamo negli anni più spaventosi della Guerra fredda quando la crisi di Cuba, in particolare con l’invasione della baia dei Porci, allarma l’opinione pubblica di tutto il mondo. Il pianeta si trova a un passo piccolissimo da una vera e propria guerra nucleare fra URSS e Stati Uniti.
Sorge una mobilitazione straordinaria contro la guerra atomica che troverà un ulteriore sviluppo agli inizi degli anni Ottanta nella lotta contro l’installazione dei missili nucleari – i famosi Pershing e Cruise – in Occidente, che portò migliaia di persone in piazza in tutta Europa e che fu decisiva per la caduta del Muro di Berlino.
Il libro Psicoanalisi della guerra viene pubblicato come studio prima in Francia che in Italia, ma arrivato nel nostro Paese sarà tradotto in varie lingue trovando subito un riscontro straordinario. In fondo, l’Italia, dopo il fascismo, ha avuto una grande tradizione pacifista ribadita anche dall’articolo 11 della Costituzione: L’Italia ripudia la guerra.
Guerra come elaborazione paranoica del lutto
La teoria di Franco Fornari è straordinariamente lucida. La guerra non è semplicemente un fattore di conflittualità fra Stati sovrani, fra istanze economiche, fra questioni geopolitiche. Le sue radici si annidano nella degenerazione delle ragioni di appartenenza affettiva dell’individuo al proprio gruppo.
Da qui l’idea che la guerra sia l’elaborazione paranoica del lutto. Ossia quel deterioramento dell’appartenenza che si nutre della proiezione sull’altro – sul nemico – come alimento necessario al mantenimento della coesione interna a un gruppo in quanto, viceversa, la depressione rischierebbe di penetrare dentro le proprie maglie e rischierebbe di far deflagrare il tessuto sociale stesso. Si tratta delle motivazioni, anche antropologiche, per cui la guerra ha finito con il rappresentare, sia per società primitive da lui studiate sia per società più avanzate, l’elemento connettore per rinsaldare i legami fra i membri del gruppo stesso.
Ma Franco Fornari avverte che l’avvento delle armi nucleari, che rappresentano l’apice della potenzialità distruttiva, equivalga ad aver messo la guerra in crisi e quindi ad aprire un discorso del tutto nuovo sulla sopravvivenza e la convivenza.
«Ciò è vero, anche se si può sempre impazzire, cioè passare di nuovo all’atto e tornare e tornarsi a farsi la guerra. Ora è possibile fare diagnosi di pazzia nei riguardi della guerra.»
In pratica, fuori di metafora, se Fornari riconosce, con l’avvento dell’era nucleare, una sorta di impossibilità della guerra, razionalmente intesa, di poter mantenersi in quanto la bomba atomica rende tutti vittime piuttosto che vincitori, dall’altro però, e in questo è terribilmente profetico rispetto alle ultime guerre, si rende conto che ci può essere sempre una sorta di escamotage che le consenta di ricomparire in quanto la guerra è una forma di delirio paranoico e quindi di pazzia a tutti gli effetti.
L’incoerenza della guerra
In un altro testo, arriva a dire che «la guerra, anziché difendere i propri oggetti d’amore, li distrugge». E in questa dichiarazione sta il nucleo profondo della sua ricerca. Che mette in luce, senza forme ideologiche, da un lato la pervasività della guerra e allo stesso tempo la sua incoerenza rispetto agli scopi che si propone, ossia quello di coalizzare gli affetti interni di un popolo verso un nemico o presunto tale.
Sia nella logica della guerra atomica, ma più in generale della guerra, questa promessa non raggiunge alcuno dei suoi scopi.
Il rapporto con il CPP
Il nostro istituto, il Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, che inizialmente si chiamava Centro Psicopedagogico per la pace, si è sempre ispirato alle ricerche di Franco Fornari. Sul versante non tanto semplicemente pedagogico, ma proprio su quello della gestione dei conflitti perché ci fa capire come
«una vera epopea pacifista non può fondare il suo potere su un supplemento di bontà dell’uomo, perché l’uomo si sente buono anche quando fa la guerra, sacrificandosi per il suo paese. Il pacifismo può fondare il suo potere solo attraverso il modo simbolico di gestire l’universo diabolico».
Non ci possono essere convivenza e riconoscimento reciproco se vengono basati solo sull’idealizzazione della bontà, dell’armonia, del puro e semplice rispetto. Perché sono gli stessi valori per cui l’individuo cede alla guerra, alla rissa, alla violenza. Occorre un’elaborazione simbolica che sappia vedere nei conflitti un’occasione di scoperta di nuovi punti di vista, di cambiamento e di comunicazione profonda. Quello che, anche grazie a Franco Fornari, abbiamo sempre cercato di coltivare a livello nazionale e internazionale nei nostri studi, nei nostri progetti, nelle nostre formazioni.
Oltre la guerra
Nel corso della sua ampia e originale carriera scientifica, Fornari allarga i confini della psicoanalisi occupandosi di istituzioni assolutamente prioritarie nel contesto sociale. La nascita (Il codice vivente), la scuola (Il Minotauro: psicoanalisi dell’ideologia), la sanità (Affetti e cancro). Senza dimenticare anche altri mondi, come quello della musica (Carmen adorata). Sposta in maniera significativa questi confini che lui ritiene angusti, liberando la scienza psicoanalitica da un’ortodossia freudiana che rischia di renderla troppo limitata e un po’ claustrofobica.
Ma non va dimenticato che Franco Fornari è stato un grandissimo terapeuta. Una testimonianza al proposito ci arriva nientemeno che da Alda Merini. Nel 2001, sulle pagine del quotidiano cattolico Avvenire, rivela:
«Quando io mi stupii con Franco Fornari – grande analista del ventesimo secolo e grande scrittore – del fenomeno per cui dopo aver subìto tanti elettrochoc io continuassi a scrivere, Fornari mi rispose con una frase che testualmente diceva: “Il manicomio è come la rena del mare: se entra nelle valve di un’ostrica genera perle”. Per Fornari, e anche per me, le perle erano le lacrime dell’ammalato, ma anche la purezza della poesia. Franco Fornari è stato il mio analista per cinque anni e soleva dirmi che, più che una nevrotica, io ero una grande Carmen: non mi allineavo».
Non si può qui non accennare anche alla sua elaborazione di una teoria psicoanalitica molto innovativa, quella dei codici affettivi. Si tratta di una teoria che apre l’inconscio alle matrici affettive che lui chiama codice materno, codice paterno, codice fraterno per definire situazioni e comportamenti che non sono risolvibili con il pensiero classico della libido di Freud.
È nel pieno della sua elaborazione quando sopraggiunge la morte, il 20 maggio 1985.
Tener viva la sua memoria è anche tener vive le ragioni migliori della nostra convivenza e della nostra appartenenza a un territorio.
Daniele Novara
20 maggio 2025