Il conflitto come fattore evolutivo

Il conflitto è evolutivo perché consente di riconoscersi, di identificarsi. Nel conflitto scopriamo noi stessi.
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Conflitto come fattore evolutivo

“L’esperto è una persona che ha fatto in un campo molto ristretto tutti i possibili errori”

(Niels Bohrs)

Il conflitto è un’occasione di crescita, ma come trasformare questa frase da slogan a una tappa effettiva?

1) Per capire la natura evolutiva di un conflitto teniamo presente l’adolescente.

L’adolescente ha bisogno dei conflitti proprio per liberarsi dal con­trollo genitoria­le. È una fase della vita in cui il movi­mento di crescita porta a cercare un allontanamento, una separazione, e per fare questo il ragazzo o la ragazza mette in atto tutta una serie di movi­menti conflittuali che lo spingono a cercare di schiodarsi dalla compresen­za e compenetrazione con gli adulti.

Come fa? Attraverso l’insulto, l’attacco, l’evitamento, le menzogne, oppure puntando al perfezionismo.

Sono conflitti basati sulla fusionalità, ovvero movimenti conflittuali puramente dimostrativi, che non sempre ottengono il risultato di andare verso l’autonomia. Il più del­le volte sono semplicemente una sorta di conferma relazionale. A volte fanno peggio i genitori che sgridano, ricatta­no, accusano, stigmatizzano e anche loro insultano. Per cui rinforzano quel­la modalità fusionale che è tanta cer­cata dal ragazzo.

2) Il conflitto è evolutivo perché consente di riconoscersi, di identificarsi.

Nel conflitto scopriamo noi stessi. No­nostante tutta la paura, le colpe, la vergogna che fin da bambini ci accom­pagnano nel farci sentire così tanto inopportuno litigare, la verità si mani­festa solo nel momento del contrasto. Induce a guardarsi, a riconoscere i pro­pri limiti e le proprie risorse. Solo il conflitto consente di liberarsi dalle di­pendenze infantili.

Citando Nietzsche: “Le trasformazioni del nostro spirito sono tre e possono essere rappresenta­te da tre animali: cammello, leone, dra­go. Il cammello rappresenta l’infanzia come stagione eteronoma della nostra vita. Marcata dalla obbedienza, dall’ac­cettare sulle nostre spalle tutto il carico dei nostri obblighi. I doveri sociali che ci devono essere insegnati, che dobbiamo accettare.

Quando il cammello ha cari­cato tutto il peso degli obblighi sulle sue spalle, va nel deserto dove si trasforma in un leone, che rappresenta l’entrata della vita adulta. Più carico sarà il cam­mello, più forse sarà il leone che nasce­rà. Egli appare con un unico compito, quello di uccidere il drago che si chiama “tu devi”. Le scaglie della sua corazza porta questa scritta.

Essi rappresentano quell’eteronomia in cui dobbiamo sba­razzarci all’uscita dell’infanzia, per poter essere autonomi e realizzare i nostri progetti. La lotta contro il drago è diffi­cile e pericolosa, ma quello che ci aspet­ta dopo averlo vinto è la possibilità di trasformarci in bambini. Cioè adulti ca­paci di reversibilità, capaci di rivedere il mondo e le esperienze, con gli occhi già usati dal passato, ma non ritornando per questo infantili, anzi scoprendo al­tre dimensioni di conoscenza”

Il brano è perfetto: ci dice che dobbia­mo staccare la nave dal porto, staccare l’ancora dai fondali per porla nella nave stessa. In altre parole, l’infanzia ci ap­partiene, non possiamo far finta che non l’abbiamo avuta. Riconoscendola riusciamo poi a riappropriarcene per prendere la nostra strada. 

3) Il conflitto è un’area di individuazione, cioè un’area di ricerca del proprio sé autentico.

Il passaggio è quello dal conflitto come elemento fusionale, tipi­co del bambino che si arrabbia con la mamma, al con­flitto come momento liberatorio, sgan­ciato dalle pulsioni puramente emotive e collocato in un’area di crescita e di ri­cerca di se stessi, del proprio mondo in­teriore.

Il conflitto gestito male è sempre in questa area fusionale, il conflitto ge­stito bene è sempre nell’area evolutiva.

Questo discorso merita un ulteriore ap­profondimento, uno sguardo senz’altro più complesso di questa mia breve co­municazione. Perché quando avre­mo un conflitto con qualcuno vi saranno tutta una serie di problemi che lo inve­stono.

Non ci sarà mai ragionevolezza nella gestione del conflitto, non ci sarà mai correttezza. Il conflitto è sem­pre un miscuglio profondo fra quello che noi viviamo e quella che è una real­tà.

Non esiste il conflitto oggettivo, esiste sempre una persona che vive una certa situazione e la vive in quel modo e poi ci siamo noi che cerchiamo sempre in quella situazione di trovare noi stessi e di metterci alla prova, di scoprirci.

Vi in­vito a vivere il conflitto come occasione per diventare se stessi.

Conflitto come fattore evolutivo

Estratto dall’articolo di Daniele Novara “Il conflitto come fattore evolutivo” pubblicato sulla rivistra Conflitti n°3-2021.

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