Per parlare di ambiente digitale, inizio con una citazione
Non mi possono toccare
Io sono dentro a una bottiglia
Son chiuso dentro e non voglio uscire
C’è troppo spazio tra me e me
Mi sento fuori di me
La mia testa fuori di me
Il mio corpo fuori di meGiorgio Gaber, “L’elastico”
L’equivoco dell’ ambiente digitale
«Internet non è uno strumento, è un ambiente»; «La rete è il nuovo ambiente di apprendimento».
Ci è capitato molto spesso di ascoltare frasi di questo tipo e di rimanere sbalorditi davanti alla disinvoltura con la quale viene utilizzato un termine così importante e così delicato come “ambiente”.
È perlomeno curioso che si esalti il progresso tecnico e tecnologico che ha portato a costituire un nuovo presunto ambiente digitale, fino alle derive del Metaverso, senza comprendere che si tratta dello stesso progresso che ha distrutto forse in modo irreversibile l’unico ambiente che ci è dato a disposizione, ovvero la nostra Terra con tutta la sua bellezza e la sua fragilità.
Il costo ecologico (e umano, se pensiamo alle condizioni di lavoro dei nuovi schiavi che nelle aziende informatiche dell’Estremo Oriente si suicidano a decine) dell’energia che serve per mantenere la connessione globale nella quale siamo immersi è enorme. Ma sembra non contare perché tutto ciò evapora nel nuovo e pulito ambiente digitale della Rete. Abbiamo inquinato gli oceani, abbiamo sterminato intere specie animali e vegetali ma possiamo consolarci perché possiamo ricostruire tutto ciò in Minecraft.
Il corpo escluso dalla virtualità con l’ambiente digitale
L’etimologia della parola “ambiente” sembra rimandare al verbo circondare o essere circondati. Si tratta di un’etimologia di tipo fisico, nella quale il corpo ha un valore fondamentale. Proprio quel corpo con i suoi umori, profumi, odori, sudori che viene escluso dalle nuove tecnologie. O meglio che viene transustanziato in un corpo falso (e non finto, come nel teatro, perché il corpo nell’ambiente digitale pretende di essere sostitutivo di quello reale).
Ma in una specie di ritorno del rimosso nel rimovente è proprio l’ambiente, quello fisico, quello materiale, a corrodere le vite degli Hikikomori. Ragazzi e ragazze illusi di poter vivere in un surrogato ambientale, mentre il loro corpo sta decadendo letteralmente nell’unico ambiente che l’essere umano conosca: quello della prossimità, dell’essere abbracciati da ossigeno, anidride carbonica, dal vento e dal sole, dalla presenza o dall’assenza di altri corpi.

C’è un modo per aiutare ragazzi e ragazze a fare un passo avanti nelle decisioni che devono prendere, perché trovino in autonomia la loro strada?
Pensiamo di sì e per questo ti proponiamo il corso “Giovani e indecisi, come aiutarli?”
Con Filippo Sani e Laura Petrini imparerai a sostenere preadolescenti e adolescenti nelle scelte che devono affrontare. E che li fanno crescere con la maieutica orientativa.
Fuga dal reale e rischio dissoluzione
Si dice che le nuove tecnologie, con il loro ambiente digitale, offrano una straordinaria possibilità di fuga dalla materialità della vita reale. Si nasconde che questa possibilità, senz’altro interessante e utile, è tale solamente per chi ha un radicamento nella realtà. Per chi ha fatto i conti con il proprio corpo, per chi ha la maturità di immergersi nel virtuale sapendo però ritornarne arricchito.
Qui il paragone con i Paradisi Artificiali si fa più forte perché dubitiamo fortemente che l’universo delle droghe oggi permetta una fuga creativa e non una semplice e tragica dissoluzione di sé.
Illusione, ambiente digitale e fragilità umana
Lo pseudo-ambiente della virtualità digitale offre una soluzione psicotica alle sofferenze e alle esigenze del corpo. Ogni confronto con le ricerche di estasi dei mistici è fuori luogo perché ignora lo straordinario lavoro di preparazione fisica e di disciplina corporea effettuato da costoro prima della ricerca dell’estasi. Che a rigore non era nemmeno una vera e propria ricerca perché l’estasi accadeva proprio quando non la si ricercava attivamente ma vi si abbandonava.
In un ambiente sempre più devastato dal profitto a tutti i costi, davanti a corpi di ragazzi e ragazze letteralmente divorati da anoressia, bulimia, autolesionismo, tentati suicidi, in aule scolastiche sempre meno adatte a contenere ed emozionare i corpi splendenti dei bambini e degli adolescenti, ci viene offerta la consolazione di un nuovo ambiente digitale. Nel quale gettarci come in un bungee-jumping. Solo che a un certo punto ci dimentichiamo dell’esistenza dell’elastico e, come cantava Gaber, “di colpo fuori e dentro/lo schianto”.
Testo tratto dall’articolo “La dissolvenza del corpo nello spazio virtuale” di Raffaele Mantegazza, pubblicato sulla nostra rivista “Conflitti”.
30 aprile 2025