Alcune amministrazioni locali hanno ormai da tempo l’abitudine di premiare, nell’ambito di una cerimonia pubblica dedicata al racconto della scuola del merito, gli alunni delle classi III della secondaria di I grado che sono usciti dall’esame con il voto di 10 o 10 e lode.
Avete mai assistito a una simile premiazione? Cosa ne pensate?
La premiazione e il merito
Anzitutto, sorgono perplessità in generale sull’idea di premiare un ragazzo per una valutazione, che non dovrebbe essere altro che un segnale. Una specie di indicatore che aiuti lo studente a capire se ciò che ha realizzato è positivo o contiene errori. Inserire la valutazione in un ambito di premi/punizioni (ed è ipocrita fare finta che il secondo termine non si dia: «Ti do 4 così impari a chiacchierare», «Il compito sarebbe da 8 ma ti tolgo un punto perché hai disturbato») è tipico della scuola del merito, ma non è per nulla auspicabile.
Ma un’ulteriore perplessità è legata al concetto di merito (tanto caro al Ministro Valditara) che viene in questo modo applicato.
Per quale motivo infatti viene considerato meritevole uno studente che prende 10 e lode, magari partendo da basi forti dal punto di vista della dotazione cognitiva e avendo una famiglia che lo supporta, e non uno studente che partendo dal 4 arriva alla media del 7, con grande sforzo e grande fatica, superando tutti i suoi limiti e meravigliando gli stessi professori?
Per quale motivo si misura il rendimento a scuola come se fossimo alla finale dei 100 metri alle Olimpiadi? Vince chi ha la forza, le capacità, l’allenamento per arrivare primo. E un atleta che si fa male ai primi dieci metri e che riesce ad arrivare al traguardo in 30 secondi tra gli applausi commossi del pubblico, non lo definiamo meritevole solo perché non ha vinto?
Il voto in condotta
Quest’ultima domanda vale anche a proposito del famigerato voto di condotta. Tanto caro ai fautori della scuola del merito, e in generale del concetto di alunno disciplinato che porta con sé. Partiamo da un esempio. Se in un contesto lavorativo o di volontariato una persona sta avendo un momento di difficoltà e un collega gli suggerisce la soluzione del problema, consideriamo questo un comportamento corretto e altruista.
Anzi, nell’ambito del lavoro in gruppo proprio la capacità di suggerire agli altri soluzioni e percorsi viene considerata come esempio di comportamento proattivo. Solo a scuola il suggerimento è considerato come un peccato capitale, da punire e perseguire. Perché solo a scuola la valutazione avviene con prove rigidamente individuali e addirittura concorrenziali.
Sembra che tutta la retorica sulla collaborazione che i ragazzi incontrano nei lavori di gruppo sia vanificata dalla logica del controllo e della prestazione individuale che entra in scena quando si passa alla verifica (ovvero quando si inizia a fare sul serio).

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Il punto di partenza
E uno studente straniero che con grandissime difficoltà impara l’italiano essendo magari l’unico a parlarlo nella sua famiglia, e arriva a prendere 7, non merita la nostra considerazione a scuola?
E un ragazzo che aiuta regolarmente un compagno facendo i compiti insieme a lui e spiegandogli i passaggi difficili delle materie nelle quali è in difficoltà, non lo definiamo meritevole solo perché all’esame ha preso 7 e non 10 e lode?
Stiamo lodando dei ragazzi, dei futuri cittadini o dei numeri? O peggio dei competitori (o competitors, perché oggi gli inglesismi sono un must). La stessa considerazione vale per le copiature. Siamo poi sicuri che copiare sia sempre e soltanto un comportamento scorretto?
Copiare bene
Daniele Novara parla di litigare bene; e se provassimo a insegnare ai ragazzi a copiare bene? Altro che scuola del merito!
Inoltre sappiamo benissimo che un relatore a una conferenza, che ha davanti una serie di appunti e che è capace di orientarsi attraverso di essi per il suo discorso, è considerato un ottimo professionista; ma allora per quale motivo non pensiamo a interrogazioni nelle quali i ragazzi possono tenere davanti il libro aperto e usarlo come strumento per costruire un discorso?
Il problema reale è che la scuola che premia i 10 e lode, la scuola delle note disciplinari, del non suggerire, del non copiare è semplicemente una scuola vecchia. Non classica, proprio vecchia e logora. Non all’altezza delle sfide che il mondo propone ai ragazzi e agli adulti. E una scuola vecchia si condanna all’autoestinzione; e non se la caverà certamente continuando a spacciare per vero un concetto di merito del tutto privo di ogni fondamento pedagogico o filosofico.
Testo tratto dall’articolo “La scuola non è una gara” di Raffaele Mantegazza pubblicato sulla nostra rivista “Conflitti”
13 giugno 2025